Come fa l’uomo a essere partecipe della storia se non è capace di coerenza?

Se non ci fosse stata quella intensità di vissuto del ‘68, carica di domande, di fallimenti, e di astrazioni teoriche, col problema della non corrispondenza con il reale, se non ci fosse stata quella disponibilità a riconoscere che la realtà mi diceva cose diverse rispetto a quelle che io stesso credevo, se non mi fossi fatto colpire dalla contraddizione che il mio rapporto con il reale generava, non avrei potuto farmi poi le successive domande. Quindi, il lavoro che ho fatto in sette anni, dalla chiusura con il Comunismo, cioè dal dicembre del ‘75, è stato un attraversamento critico del marxismo e un approfondimento della domanda: se l’uomo è così incapace di coerenza, se le teorie, quando vengono applicate, diventano il contrario di quello che dicono, se la prospettiva comunista – che era fondata sulla idea della classe operaia che scioglie le classi, genera l’uguaglianza e quindi elimina lo Stato – si ritrova davanti i Paesi dove domina il comunismo con lo Stato più potente, più burocratico, più pesante, allora l’inveramento è totalmente negato.

Per cui, il problema che mi è insorto è stato: come fa l’uomo a essere partecipe della storia se non è capace di coerenza?
Che cosa costituisce il filo del suo cammino storico?

E questo mi ha portato ad una ricerca sull’uomo primitivo, su com’è fatto l’uomo sin dall’inizio, e infine a rendermi conto che l’uomo ha sempre dentro qualcosa, la potenzialità del senso religioso. Ho capito che il senso religioso era veramente nell’umano come una apertura al mistero, una parte che non era più spiegabile con il ragionamento, una cosa che stava oltre il ragionamento. Infatti, quando sono entrato nelle Grotte di Lascaux, in Francia, e ho visto i disegni, quello che mi ha portato dentro, la guida, diceva: «Voi camminate in piedi perché noi abbiamo scavato il terreno, ma l’uomo di 12 mila anni fa veniva carponi nella grotta per fare i suoi disegni».
Lì ho capito che quell’uomo non faceva i disegni per farli vedere agli altri, faceva i disegni per qualche cosa che stava oltre lui, la sua tribù, la sua gente.
Il pensiero di apertura verso quell’oltre mi ha colpito profondamente. Questa è una prima presentazione. Poi potrei dirvi che il mio incontro con il cristianesimo è diventato un processo di lotta ideologica attiva tra me e Cristo, perché io continuavo a sostenere delle cose e mano a mano si dimostrava che avevo torto io. Però, io continuavo a metterle in discussione lo stesso. Insomma, ci ho messo tanto tempo ad arrivare alla consapevolezza che ho oggi della centralità di Cristo, della familiarità con Lui e del fatto che oggi, tutto quello che mi accade è quello che Lui decide per me. È lui che mi porta per mano, una mano morbida, dolce, che mi ama. Tutto quello che mi accade, che è veramente complesso, pesante, difficile, è un bene per me. Quello che sto vivendo adesso è un bene per me.

Ho capito: il popolo nasce da Cristo stesso, nasce dal fatto che l’uomo, guardando Cristo, assume via via il senso di essere popolo, cioè una compagnia operosa al lavoro. Però questo mi ha reso anche consapevole del fatto che la compagnia operosa al lavoro non è la gran parte della gente, non è la maggioranza, anzi, è una minoranza. Il popolo è una minoranza che si pone perché nasce in Chiesa: si esce dalla Chiesa e si incontra, con il senso religioso che rende molte persone più responsabili, più attive, più creative di quanto non siano i cristiani stessi. Per cui, quella unione tra gli uomini con il loro senso religioso e il popolo nato dall’iniziativa di Cristo, diventa veramente consapevole. Ma questa parte consapevole – che poi è fatta da coloro che fanno seriamente la famiglia, la fabbrica, la creatività, la costruzione, l’approfondimento scientifico – è quella che costruisce e dà significato alla espressione di servire il popolo. La politica è chiamata dunque a questa dimensione, la capacità di riconoscere questa minoranza al lavoro che costruisce e che è un anticipo di quello che possono essere tutte le persone.

La politica è di tutti e tutti la state facendo. Appena vi muovete su qualcosa, fate politica; appena guardate la condizione dell’altro, già fate politica. Allora, la politica è saper comporre la complessità, rendere possibile il governo della grande diversità che c’è in democrazia. Ma per governare la diversità ci vuole un grande senso della politica: io ho combattuto il potere tutta la mia vita, fino al punto che oggi sono ridotto a uno straccio, non ho più niente. Il potere ha sempre vinto, e va bene, però vincendo ha distrutto se stesso e la politica. Per questo oggi siamo in una situazione così drammatica. Chi sarà capace di rispondere a questa vittoria totale dell’irrazionalismo? Ricominciamo dal fare il popolo.

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