Il neoliberismo sta vincendo la battaglia più importante: la sconfitta popolare

Chi non conosce la storia è destinato a ripeterla, è stato detto più di duecento anni fa; ma a prendere sul serio quell’aforisma sono stati i neoliberisti, che per avverarlo si sono impegnati (da tempo in America, più recentemente in Europa) in una guerra culturale volta alla delegittimazione della storia e alla sua eliminazione dalle scuole e dalle menti: in modo che ai giovani sembri inutile e noiosa, come qualsiasi cosa che richieda un minimo di attenzione non immediatamente ricompensata (vuoi mettere con un corso su come imparare a usare un tablet, benché un anno dopo quelle informazioni sono già diventate obsolete a causa dell’introduzione di nuovi sistemi, programmi e dispositivi).

E la stanno vincendo alla grande, questa guerra. Appiattiti sull’attualità, giovani e meno giovani ignorano che un secolo fa il primo conflitto mondiale (quando ne parlo i rampanti italiani invariabilmente sorridono e rispondono: e allora le guerre puniche?) rappresentò il suicidio dell’Europa a vantaggio degli Stati Uniti; se non ne divenne già allora una colonia fu perché gli americani avevano ancora enormi regioni del loro continente da depredare ma soprattutto perché l’impero zarista invece di frantumarsi diede origine all’Unione Sovietica, unico Stato che per settant’anni fu in grado di tenere testa al cosiddetto Occidente (termine appropriato, peraltro, in quanto riconosce che il centro dell’impero sono gli Stati Uniti, la nazione più a Ovest della terra quando si consideri il Pacifico come lo spartiacque planetario) e di condizionarlo.

 

Lavoro a Boston e ci vivo per più di metà dell’anno; non sono più innamorato degli Stati Uniti ma li rispetto: sanno quello che vogliono e cercano di ottenerlo a qualsiasi costo. Non è il mio stile, non sono i miei valori, ma sono fatti loro e comunque c’è una logica. Come rispettare gli italiani e gli europei che invece di fare i propri interessi fanno quelli degli americani? Non parlo solo di Meloni, dimostratasi (come avevo previsto, ma era facile) più atlantista di Draghi, Renzi, Grillo e forse addirittura del Pd, succursale locale del partito di Biden e di Amazon (e che infatti ha appena deciso di farsi guidare da un’americana). Parlo dei milioni di miei connazionali che non sanno più dire «luogo» e «chiamata» perché gli sembrano più fichi «location» e «call», che senza il loro iPhone d’ordinanza si sentirebbero nudi, che il caffè lo bevono preferibilmente da Starbucks anche se costa tre volte di più, che al risotto o alla pizza preferiscono l’hamburger, meglio se fatto con farina di insetti e per questo «cibo del futuro», dunque non criticabile se non rischiando di venire lapidati dai profeti del nuovo fine a sé stesso («influencer», celebrity, giornalisti) con l’accusa di essere nostalgici, reazionari, luddisti (un po’ meno perché pochi sanno cosa significhi), rimbambiti e, l’insulto peggiore di tutti, inattuali.
A me invece pare resistenza.
PS A evitare fraintendimenti e inutili commenti, preciso che considero l’egoismo, ossia il fare i propri interessi personali, la radice di tutti i mali; ma che invece ritengo il bene comune (ossia gli interessi anche materiali di un popolo nel suo insieme) un degno obiettivo politico e un atteggiamento profondamente morale, non solo per quella specifica collettività ma per il mondo in generale, in quanto garantisce la diversità culturale e sociale che sola può arginare i monopoli e il colonialismo, comunque travestito (in particolare da aiuti umanitari e diritti civili), e in prospettiva la possibilità di affrontare futuri, inattesi accidenti con molteplici strategie invece che con una sola, magari efficace in una contingenza ma del tutto inadatta in altre. A patto che gli interessi del popolo siano autentici, di lunga durata e verificati intergenerazionalmente, non imposti istantaneamente dalla pubblicità o dalla propaganda; né devono essere imperialisti, ossia a danno di altri popoli. Quanto al fare gli interessi «universali» o, peggio, «umani», si tratta della retorica usata per fare gli interessi egoistici di pochi miliardari e multinazionali o gli interessi imperialistici di un unico popolo, quello che da trent’anni domina incontrastato il pianeta, in maniera sempre più arrogante proprio a causa di tale strapotere.
FRANCESCO ERSPAMER
Professore di studi italiani e romanzi a Harvard; in precedenza ha insegnato alla II Università di Roma e alla New York University, e come visiting professor alla Arizona State University, alla University of Toronto, a UCLA, a Johns Hopkins e a McGill

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