L’Italia non ha generato solo la mafia…

Il 14 settembre di 700 anni fa nella città di Ravenna è morto Dante Alighieri all’età di 56 anni

Non ha bisogno di presentazioni se non ricordare che con  quattro figli ha vissuto per anni vita raminga da esule condannato all’esilio.

Un peregrinazione dolorosa attraverso le città dell’alta e media Italia ed anche in Francia, fino a Parigi.

E’ proprio in questo periodo faticosissimo che scrive la “Divina Commedia”.
Per valutare il supremo imbarazzo di Dante dotato di un animo “bronzeo”, obbligato a guadagnare il pane di città in città per sé e la famiglia, non  sarà inutile che vi citi i famosi versi che sembrano intagliati con lo scalpello nel duro granito:

Tu proverai come sa di sale
Lo pane altrui, e com’è duro calle
Lo scendere e il salir per l’altrui scale.
(Par XV)

Indebolito nelle sue forze fisiche, abbeverato di assenzio nel suo animo, spezzato nella sua energia morale, il gigante cadde alla sua fine e ha avuto la sua sepoltura nella chiesa di S. Francesco a Ravenna.

IL CARATTERE

Ogni volta che la mia mente si fissa in Dante, non posso rimuovere dalla mia fantasia degli anni del liceo, l’immagine di una rupe che si erge austera nel mezzo dell’oceano. Grandi onde rabbiose la sferzano, la colpiscono, tempeste furiose e la flagellano ai fianchi. Passano le veloci raffiche e la scogliera rimane immobile, ricevendo il bacio dell’aurora che nasce e la carezza del sole che muore.
Fustigato dal vento, picchiettato dalla pioggia, colpito sulla cima dal sole, nulla però riesce a piegarlo, meno ancora a sradicarlo e così sta come torre al soffiar del vento, affondando sempre più le sue radici, uscendo al fine vittorioso dal crudele e duraturo combattimento. Tale è il carattere di Dante.

Una retta, un tratto energico: un cammino senza curve, uno spirito che non si piega, un’anima che non conosce compromessi, perseguendo con il suo odio implacabile la prepotenza insolente e la debolezza colpevole, elevandosi sopra le subdole formule dell’intrigo, dicendo ai grandi la parola dura della verità e consolando gli umili e i semplici; colpendo con invettive il vizio e marcando con il ferro rovente l’infamia; investendo le cittadelle della tirannia e lanciando l’incandescente rimprovero contro le ingiustizie.

Dante è veramente la rupe che immobile riceve lo schiaffo dell’onda senza vacillare e alle forze che lo investono per morderlo, lancia il supremo disprezzo: Non ragioniam di loro, ma guarda e passa.

Il carattere di Dante si rivela e si definisce, luminosamente, nella risposta data agli emissari di Firenze, che lo invitavano a ritornare “al dolce nido”, il cambio di condizioni che giudicava essere veramente umilianti e inaccettabili: “se non c’è altro cammino onorevole perché io ritorni alla mia amata Firenze, mai più vedrò Firenze.”

Al granito possiamo togliere le schegge, ammorbidirlo pero mai!

E’ necessario evocare nei nostri tempi questo carattere diamantino. La nostra epoca è di sfibramento morale, di condiscendenze e compromessi, di fasciature avvilenti, è epoca di comparavendite e di indebolimento morale, di istinti rozzi e volgari.

E’ necessario rinforzare la fibra della coscienza sia individuale sia collettiva, irrobustire i muscoli dell’anima, ricostituire gli spiriti a contatto con questo carattere bronzeo.

Studiarlo da vicino e riprodurlo in noi stessi, copiarlo; iniettare nelle nostre vene un po’ di quella energia che sosteneva il grande animo dell’esiliato negli stati di irritazione e negli abbattimenti impedendo che l’animo stesso facesse fiasco e si consegnasse perché limitato dalle regole della fame o piegasse le ginocchia davanti ai grandi dell’epoca – una grande lezione morale che ci viene dopo settecento anni dalla sua morte.

Meraviglia di ciò: ancor più imitiamolo sotto questo punto, che mi sembra principale e basilare. Sia Dante la fucina accesa dove si ritemprano i figli della nostra gente, dove si rinvigorisce il sangue del forte e del gentile.

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